Con queste parole Gilberto Corbellini, su un articolo pubblicato su inserto de “Il Sole 24 Ore ” lo scorso 14 Gennaio , ha commentato le recenti disposizioni approvate dal governo in materia di eutanasia definendole come “il minimo sindacale”. Il parlamento italiano, spinto dall’eco mediatica del caso di Fabiano Antoniani, detto Dj Fabo, recatosi in Svizzera per porre fine alle proprie sofferenze, ha infatti frettolosamente approvato una legge sul biotestamento. Questa legge, che dopo essere passata alla Camera ha raccolto 180 voti favorevoli al Senato, rende dunque possibile anche in Italia la pratica del “testamento biologico” o “biotestamento”.
Il biotestamento è una dichiarazione scritta che il paziente rilascia, quando ancora capace di intendere e volere, a proposito delle cure mediche che egli intende accettare o rifiutare in caso di infermità fisica o mentale, questa pratica consente dunque anche di interrompere ogni tipo di cura medica qualora il paziente lo richieda. Una delle legge del genere è già in vigore nella maggior parte dei paesi occidentali ma la sua approvazione in Italia non è stata priva di polemiche, vi è ancora infatti in Italia una folta schiera che si dichiara contraria alle pratiche di fine vita. Nonostante questo e nonostante la presa di posizione della Chiesa Cattolica, pubblicamente contraria alla pratica dell’eutanasia, la società italiana ha subito un radicale processo di sensibilizzazione sulla materia anche grazie ad alcuni episodi di accanimento terapeutico che hanno sconvolto l’opinione pubblica, come quelli di Piergiorgio Welby e Eleonora Englaro. L’approvazione di questa legge, che è riuscita a scavalcare la mole di 3 mila emendamenti a richieste di correzione pubblicate dal fronte dei contrari ostruzionisti, rappresenta un passo avanti per l’Italia nel campo della conquista dei diritti civili e una grandissima vittoria per le organizzazioni radicali e progressiste che sin dagli anni ’70 si sono battute per l’approvazione di questa legge. Sono numerosi infatti i paesi che ad oggi contengono nella loro legislazione trattamenti specifici volti a limitare e ad annullare le sofferenze dei malati terminali, paralitici ecc.
Le obiezioni che arrivano verso le leggi sul fine vita sono tutte portate avanti nell’ambito della sacralità della vita, fortemente sostenuta dalle autorità ecclesiastiche. Tali riflessioni di natura etica e morale possono essere comprensibili se riportate nel loro contesto ma, in nome della difesa della laicità dello stato, non dovrebbero essere prese in considerazione all’interno del dibattito politico dato che tutte le leggi promulgate da uno stato dovrebbero essere rivolte al benessere dei cittadini. Se infatti è comprensibile, almeno dal punto di vista concettuale, il motivo per cui la Chiesa Cattolica e le altre organizzazioni religiose si schierano compatte contro eutanasia e suicidio assistito non risulta invece comprensibile come si faccia a far coesistere carità cristiana e accanimento terapeutico rappresentato dal prolungamento di cure molto spesso inutili e dannose che rappresentato soltanto un ulteriore estensione delle sofferenze.